Skip to main content

Un viaggio attraverso il tempo per conoscere i porti commerciali dell’antica Roma, dal I secolo d.C. al capolavoro di Apollodoro di Damasco realizzato per Traiano: quel che resta del Porto di Claudio e le strutture del Porto di Traiano, l’unico bacino portuale romano giunto intatto fino ai giorni nostri. Le celebri Colonnacce, la Darsena, i magazzini e la vista dall’alto sul bacino esagonale saranno le tappe fondamentali del percorso.

 

Il Porto di Claudio
La fondazione della colonia romana di Ostia, nel 386 a.C., fornì a Roma la possibilità di usufruire di un porto, da sfruttare specialmente per il carico e lo scarico delle grosse anfore. Ma la possibilità di dotare Roma di una struttura portuale più grande ed attrezzata, già presa in considerazione da Giulio Cesare, si concretizzò con l’imperatore Claudio, che diede l’avvio alla costruzione nel 42 d.C. Il porto fluviale di Ostia, infatti, con banchine direttamente sul Tevere presso la foce, non riusciva più a smaltire il frenetico traffico delle naves onerariae cariche di merci per il rifornimento di Roma. L’imperatore Claudio decise quindi di realizzare una nuova infrastruttura nella zona paludosa a nord della foce del Tevere, posta a circa 3 km da Ostia, sfruttando un ramo del più antico delta tiberino già frequentato in epoca protostorica.
Il Porto di Claudio è un esempio di intervento pubblico in cui la volontà politica prevale sulle perplessità dei tecnici. Come indicò lo storico Cassio Dione (IX, 11, 3), la scelta del sito esposto alle correnti da entrambi i lati della costa: le correnti costiere erano ricche di materiali in sospensione e quel lato del delta era il più soggetto a insabbiamento. Considerazioni che molto tempo prima, secondo quanto ci dice Svetonio, avevano già indotto Giulio Cesare ad abbandonare il progetto. Ma sotto Claudio il porto venne scavato, rappresentando la maggiore impresa ingegneristica dell’epoca.
Vennero costruiti due grandi moli e il grande faro, che venne forse eretto sul relitto, affondato riempiendolo con una gettata di calcestruzzo, della grande nave realizzata sotto Caligola per trasportare a Roma l’obelisco egizio, noto oggi come Vaticano, proveniente dal Forum Iulii di Alessandria. La lunga operazione trova una datazione certa nell’iscrizione commemorativa rinvenuta a Portus nel 1836, recante la data del 46 d.C. Claudio, inoltre, per proteggere Roma dalle inondazioni, fece realizzare due canali fra il Tevere e il mare, durante la costruzione del Porto.
Ormai morto Claudio, l’inaugurazione ufficiale avvenne sotto Nerone, come documentano monete commemorative del 64 con veduta a volo d’uccello del grande complesso effigiata nel verso, su cui appare la scritta POR[TUS] OST[IENSIS] Il bacino, infatti, era noto come Portus Augusti Ostiensis o anche solo Portus Ostiensis. Tuttavia, come sappiamo da Plinio e da Tacito, il porto era sicuramente in uso anche prima del 64. Il porto aveva una notevole superficie – almeno duecento ettari, con un diametro superiore al chilometro – ma profondità modesta, il che lo rendeva poco sicuro. Ben duecento imbarcazioni, infatti, secondo Tacito (Annales, XV 18, 3) andarono perdute nel 62 in una tempesta di inusitata violenza.
Fortunatamente, almeno una delle grandi opere di canalizzazione realizzate (citate in un’iscrizione del 46) rimase utile anche nei secoli successivi, perché, come inutilmente vaticinato dagli esperti, cinquant’anni dopo era già evidente la necessità di potenziare la struttura portuale, visto che presto i fenomeni di insabbiamento divennero sensibili. Era necessario, dunque, un bacino quantomeno utile anche per decantare il limo che veniva poi dragato periodicamente.

Oggi le tracce del porto di Claudio sono sporadicamente visibili nelle vicinanze dell’aeroporto di Fiumicino, dove si trova anche un Museo delle Navi con ben conservati cinque scafi, forse al tempo abbandonati perché inservibili al margine nordorientale del bacino. In più, i recenti scavi presso il cosiddetto Palazzo Imperiale di Portus hanno trovato altri resti dei moli. Di rilievo i resti di un bel portico a bugne a ovest e a breve distanza dal successivo impianto di Traiano.

Il Porto di Traiano
Il Porto di Traiano nacque, dunque, sia per contenere i crescenti insabbiamenti sia per via delle sempre crescenti esigenze di approvvigionamento. Il complesso voluto da Traiano fu potenziato con la costruzione di un ardito bacino esagonale, immediatamente prossimo al porto di Claudio, e di altre opere di canalizzazione e di magazzini.
Impostato ai primi del II secolo d.C. su progetto del grande architetto Apollodoro di Damasco e considerato una delle più importanti opere di ingegneria civile al mondo antico, fu inaugurato dall’imperatore nel 112 o 113. Vennero mantenuti il faro e i due canali già realizzati per il porto di Claudio per alleggerire l’efflusso del Tevere e impedire l’impaludamento in caso di alluvione. Fulcro della nuova infrastruttura fu il bacino interno, il Portus Traiani, perfettamente esagonale e scavato nella terraferma senza approfittare di nessun “invito morfologico”. Con una diagonale di 716 metri e lati di 357, lo specchio d’acqua consentiva un ordinato ormeggio a circa duecento naves onerariae di diversa stazza; la profondità di almeno cinque metri ne rendeva difficile l’interramento, anche grazie all’effetto di decantazione operato dal più antico ed esterno bacino di Claudio. Si può stimare che vi potessero trovare sicuro approdo quasi quattrocento imbarcazioni da carico.
L’opera ricadeva nell’ambito di una vasta operazione finalizzata a creare un’alternativa al porto di Puteoli (Pozzuoli) e alla costruzione di nuovi approdi nell’Italia centrale, come Centumcellae (Civitavecchia) e Terracina. Portus divenne così uno scalo sicuro ed adeguato all’intenso traffico che da tutto il bacino del Mediterraneo faceva capo alla capitale dell’Impero, e rimase il principale approdo di Roma per tutto il periodo bizantino.

Entrate le navi nel bacino, le merci venivano stoccate in enormi magazzini spesso muniti di portici, gli horrea, con una capienza stimata fra le 1600 e le 2430 tonnellate di grano, per poi essere avviate a Roma via fiume, oppure trasbordate direttamente sulle piccole imbarcazioni, le caudicariae, che risalivano il Tevere sino al cuore dell’Urbe, di norma trainate controcorrente da pariglie di buoi.


Il nuovo scalo favorì lo sviluppo di Portus. Circondato da edifici di servizio di rilevanti dimensioni, il nuovo e più efficiente impianto funzionò da attrattore per il centro abitato di Portus, urbanisticamente del tutto indipendente da Ostia, che secondo taluni raggiunse dimensioni considerevoli, anche se sinora non sono state individuate tracce di insulae.
Traiano, la cui monumentale impresa è celebrata in una moneta datata tra il 103 e il 111 d.C., fece inoltre realizzare un nuovo canale di comunicazione con il Tevere, un canale intermedio oggi interrato. Uno dei canali di Claudio, noto come Canale di Fiumicino, è rimasto navigabile per lungo tempo, sicuramente fino al 118 d.C. La zona a sud di tale canale, Isola Sacra, assunse grande importanza nel periodo traianeo, collegata a Portus e alla via Flavia mediante il ponte chiamato Pons Matidiae, da Matidia nipote di Traiano e madre di Sabina, moglie di Adriano.
Le strutture portuali continuarono ad essere usate durante tutto il V secolo, anche durante il sacco di Portus perpetrato dai Goti di Alarico nel 409 d.C., come è attestato dai numerosi rinvenimenti archeologici.  A partire dal V secolo le incursioni dei barbari imposero l’edificazione di mura difensive intorno a Portus, che i papi continuarono a rafforzare durante l’alto Medioevo trasformandolo col tempo in un piccolo ridotto fortificato, il cosiddetto Castello di Porto, a presidio della Fossa Traiana – l’attuale Canale di Fiumicino – i cui magazzini vennero via via abbandonati, essendo più sicuro veicolare subito le merci a Roma.

L’avanzamento della linea di costa in prossimità di una grande foce come quella del Tevere non dette scampo nemmeno a quest’opera di alta ingegneria, anche per la mancanza di manutenzione conseguente al tracollo economico e politico di Roma. L’area finì per impaludarsi e il bacino, in gran parte ricolmato, in epoca medievale venne adibito dalla Diocesi di Portus, estesa dall’Isola Tiberina al mare, all’allevamento del pesce da utilizzare per il precetto del venerdì. Gli scavi effettuati nella zona sud-est del bacino esagonale traianeo, hanno riportato alla luce i resti di una grande costruzione; all’inizio considerato uno Xenodochium, ossia un ospizio gratuito per pellegrini e forestieri, è in realtà una struttura di culto identificabile con grande probabilità con la cattedrale paleocristiana di Porto, rimasta in funzione fino alla fine del XIII secolo.
Ancora in un affresco del 1582 ai Musei Vaticani il bacino di Claudio appare quasi completamente interrato, mentre si nota acqua nell’esagono traianeo, nei canali d’accesso e nella darsena. Oggi lo specchio d’acqua, ripristinato da una bonifica degli anni Trenta, è all’interno della proprietà Sforza Cesarini, ramo dei Torlonia, e costituisce una riserva naturale gestita dal consorzio privato Oasi di Porto, ma sinora purtroppo non è stato possibile integrarlo con la fruibilità della parte demaniale dell’area di Portus.

 

 

Gabriella Massa

Author Gabriella Massa

More posts by Gabriella Massa

Leave a Reply