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ROMA NELLA LETTERATURA

Amelia Rosselli. Quando il dolore diventa poesia.

By 29/01/2024Febbraio 26th, 2024No Comments

Amelia Rosselli è una delle grandi poetesse del Novecento, forse ingiustamente non abbastanza ricordata: un’esistenza sofferente, solitaria, che tramutava il dolore in poesia.

La costante della poetica di Amelia Rosselli, infatti, è rappresentata da un problema esistenziale profondo ed irrisolvibile: la poetessa ripete all’infinito, con minime variazioni, un tormento interiore che tenta di proiettare all’esterno tramite le parole, le parole che si tramutano in poesia, quasi come una ricerca di aiuto, o di senso.

«Io contemplo gli uccelli che cantano ma la mia anima è

triste come il soldato in guerra.

Mi truccai a prete della poesia

Ma ero morta alla vita»


Storia di un’esule dalla nascita

La sofferenza di Amelia Rosselli ha radici lontane, che risiedono nella sua infanzia quando subì il trauma della morte improvvisa del padre e dell’esilio che ne conseguì. Amelia, infatti, era figlia di quel Carlo Rosselli, importante esponente socialista che, insieme a suo fratello Nello, aveva fondato il movimento Giustizia e Libertà. Proprio per la loro attività antifascista, i due fratelli Rossellini vennero uccisi il 9 giugno 1937 a Bagnoles-de-l’Orne da sicari della Cagoule, un’organizzazione parafascista sostenuta dal governo italiano, su mandato di Ciano e Mussolini.

Dopo l’ uccisione del padre, Amelia emigrò in Svizzera con la madre, Marion Cave, inglese e attivista del partito laburista britannico, e con l’amata nonna paterna, Amelia Pincherle, la quale assunse la guida della famiglia, composta dalle due nuore e dai sette nipot. Fu il primo di molti trasferimenti della poetessa che visse per quasi tutta la vita da rifugiata: prima in Inghilterra e poi, passando per il Canada, negli Stati Uniti dove giunsero nel 1940 anche grazie all’intervento di Eleanor Roosevelt, e dove Amelia studiò letteratura, filosofia, musica. Completò in Inghilterra la sua formazione sempre un po’ irregolare perché in Italia, dove rientrò nel 1946, non le vennero riconosciuti i titoli americani.

Il 13 ottobre 1948 un altro tragico lutto, la morte della madre a causa di una malattia, che pose fine alle speranze della sua adolescenza e che spezzò un filo su cui si reggeva la sua fragilità: “il vuoto si abbatte su di lei come il coperchio di una bara, la lastra di una lapide, seppellendo i ricordi, e ponendo fine al tempo della speranza e della crescita” (Tandello, 2007). Successivamente alla morte della madre Amelia trascorse lunghi periodi in America, a volte in compagnia della nonna paterna, l’unica figura familiare capace di compensare il vuoto e l’assenza delle figure genitoriali.

Infine, nel 1954, un terzo lutto che la sconvolse a ventiquattro anni, esacerbò in modo irreversibile l’esperienza della perdita: morì improvvisamente all’età di trent’anni Rocco Scotellaro, “il poeta contadino”, con cui aveva instaurato una profonda amicizia amorosa.

Da quel momento le condizioni psichiche di Amelia, che già avevano dato le prime avvisaglie già prima della morte della madre, peggiorarono: Amelia era soggetta a brusche oscillazioni dell’umore, insonnia, psicosi, scoppi d’ira che avevano richiesto un ricovero in struttura psichiatrica, che fu il primo di una lunga serie di ricoveri, italiani ed esteri, che accompagnò la sua esistenza, in cui venne sottoposta alla terapia del sonno, e subì elettroshock e vari shock insulinici. La diagnosi data dal Sanatorium Bellevue di Kreuzlingen diretto da Ludwig Binswanger, dove fu ricoverata per un anno e mezzo, che lei mai volle riconoscere fu di schizofrenia paranoide.

L’accumularsi di ingovernabili sofferenze – l’infanzia profanata dall’assassinio del padre, il freddo amore materno, l’insorgenza della depressione, il morbo di Parkinson che le venne diagnosticato a soli 39 anni – determinò una travagliata realtà interiore, che alla poesia si aggrappò per salvarsi. E che in definitiva non la salvò.


Plurilinguismo

Non sono apolide. Sono di padre italiano e se sono nata a Parigi è semplicemente perché lui era fuggito… dal confino a Lipari a cui era stato condannato per aver fatto scappare Turati… mio padre fu poi ucciso con suo fratello… Aver imparato l’inglese, quindi, oltre al francese, è dovuto alla guerra, perché allora andammo in Inghilterra e da lì fuggimmo poi via Canada per gli Stati Uniti… Cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi non eravamo dei cosmopoliti; eravamo dei rifugiati.

La poesia di Amelia Rosselli, per questa forte e dolorosa spinta interiore, si pone sempre come ricerca. In primis, come ricerca linguistica. Fu la sua traumatica eredità culturale e linguistica, ma in ogni caso unica, a caratterizzare la carica, la complessità e la singolarità della sua poesia. La sua infanzia, infatti, fu una specie di babele: parlava italiano con il padre, inglese con la madre e le bambinaie britanniche, francese a scuola.

Le prime poesie e le prime prose giovanili, frutto di una sperimentazione linguistica, sono segnate da questo trilinguismo, seppur imperfetto, da questo “ydioma tripharium” in cui intrusioni linguistiche, vocaboli ibridi e calchi sintattici sono propri della metalingua rosselliana. Successivamente è l’italiano la lingua che sceglie a scapito delle altre due e che non abbandona più, anche se le altre due lingue non svaniscono del tutto. Scegli l’italiano non solo perché è la lingua del paese dove Amelia ha deciso di stabilirsi, ma soprattutto perché è la lingua del padre: una scelta dettata molto probabilmente dal bisogno di far parlare chi non può più farlo. Il suo, tuttavia, è un italiano che slitta e deraglia, che include ibridi e neologismi, paronomasie, giochi linguistici, lapsus, parole che generano nuove parole. È una lingua plastica, viva, vertiginosa, che non fa che rispecchiare la realtà frammentata della poetessa e tentare di ricomporla. Amelia manomette la lingua per rifondarla.

«Montale-Proust/italiano stornello popolare/greek-latin prose/Joyce frantumazione/Surrealismo (french)/classici/argots/Chinois/Strutture lingue straniere/eliot-religious».

La definizione che Pasolini diede della poetica della Rosselli nella presentazione alla sua prima raccolta di poesie stampate su Il Menabò nel 1963, ristampata poi come prefazione a La libellula del 1985, con il titolo rimasto celebre di Notizia su Amelia Rosselli, influenzò tutta la critica letteraria italiana sul giudizio sulla poetessa fino ai giorni nostri. Presentando i ventiquattro componimenti della Rosselli, Pasolini considerava le sue irregolarità linguistiche come dei veri e propri “lapsus”, errori lessicali e sintattici, “parole fuse, storpiate, inventate” che altro non erano modi privilegiati di manifestazione dell’inconscio.


Musica e poesia

Nella ricerca linguistica della poesia di Amelia Rosselli, l’elemento musicale ha un ruolo centrale. Ella compì da ragazza studi di teoria musicale, composizione e etnomusicologia, che influenzarono sin da subito la sua scrittura in versi: Amelia Rosselli è stata una musicista prima che una poetessa e la sua musica l’ha trasfusa nei versi.

Suonava anche il violino e il pianoforte, scrisse qualche saggio sull’argomento (La serie degli armonici poi, aggiornato, in Una scrittura plurale), mise in musica una poesia di Blake, collaborò con John Cage e David Tudor, cui fu anche legata sentimentalmente, e con Carmelo Bene per le musiche di Pinocchio e Majakovskij.

Ma soprattutto la musica era a servizio della sua poesia, era un orizzonte di riferimento costante, nei titoli dei suoi libri (basti pensare a Variazioni belliche) e nella ricerca della struttura metrica.

«Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, e non ho mai in realtà scisso le due discipline.»

Fece realizzare un piccolo organo per tentare un allargamento della teoria dodecafonica, in rapporto con la musica popolare. Nel 1958 formulò un nuovo sistema metrico, mediante la stesura di un poemetto, La libellula, in cui si trattava di «uscire dalla banalità del solito verso libero» (L’opera poetica, Milano 2012), senza tornare ai metri tradizionali.

In clinica cominciò a meditare addirittura su un’invenzione che fondesse musica e scrittura sulla macchina da scrivere.

Nel 1959 partecipò all’Internationale Ferienkurse für neue Musik di Darmstadt: i rapporti con l’avanguardia musicale europea furono molto più importanti di quelli con l’avanguardia letteraria italiana.


Ambiente letterario

Amelia Rosselli negli anni Quaranta e Cinquanta cominciò a frequentare l’ambiente letterario tramite gli amici Rocco Scotellaro, di cui ho già parlato, e Carlo Levi, con il quale ebbe una relazione amorosa clandestina, avvicinandosi alle avanguardie del loro Gruppo 63 pur senza riconoscersi nella loro poetica. Prese a frequentare la casa del cugino Alberto Moravia e il mondo letterario romano, non senza nutrire una certa insofferenza per i salotti borghesi. Più tardi fu anche a Milano e a Torino, collaborando con Luciano Berio e Bruno Maderna.

Nel 1958 si iscrisse al Partito Comunista Italiano e le sue poesie, che iniziarono ad uscire sulle riviste, attirano l’attenzione di Zanzotto, Raboni e Pasolini. Sarà quest’ultimo a presentarla ufficialmente al mondo letterario con una introduzione alle prime poesie. Sono ventiquattro ed escono nel 1963 su Il Menabò diretto da Elio Vittorini e Italo Calvino.

L’esordio poetico in rivista avvenne nel 1963. Elio Vittorini pubblicò, nel Il Menabò, Ventiquattro poesie, con una Notizia su Amelia Rosselli di Pier Paolo Pasolini, che individuava nel lapsus l’elemento distintivo dell’autrice. L’anno successivo, nel 1964, fu pubblicata la sua prima raccolta – Variazioni belliche (Milano 1964) che nel titolo svelava sia il tratto musicale che la fatica di misurarsi con una vita di sofferenza – presso Garzanti per interessamento di Pasolini.

Del 1969 è Serie Ospedaliera che contiene anche il poemetto La Libellula a lungo ruminato, più volte rimaneggiato. Del 1976 è la raccolta Documento. Scrisse anche recensioni letterarie su giornali come L’Unità e Paese Sera e nel 1981 pubblicò il poema Impromptu, dove ancora una volta possiamo notare una spia musicale nel titolo. Due anni dopo esce Appunti sparsi e persi e nel 1990 è la volta delle prose del Diario ottuso.

 


Il suicidio

«Perché il cielo divinasse la tua ansia di morire

sepolto da una frana di sentimenti, io mi appartai

alla rincorsa d’un nuovo cielo.»

In Storia di una malattia, pubblicato su Nuovi Argomenti nel 1977, Amelia Rosselli offrì una dolorosa testimonianza della sua patologia mentale. La condizione depressiva, infatti, si complicò con allucinazioni e deliri di persecuzione. Da bambina Amelia Rosselli aveva assorbito il problema del padre e dello zio spiati, inseguiti, minacciati, fino al loro assassinio, e questo trauma si era trasformato in grave malattia psichica.

«Intanto i telefoni saltavano, le conversazioni telefoniche erano ascoltate e si udivano addirittura reazioni psicologiche di divertimento o di minaccia, nel sottofondo senza brusio di telefoni controllati a nastro. Un giovane carabiniere si mise d’accordo con un mio inquilino (affittavo una terza stanza) nel porre una dose gigantesca di droga nei miei cibi. Forte della sua autorità si era fatto fare una copia delle chiavi di casa accordandosi col fabbro». (Rosselli, 1977)

Sotteso ai suoi racconti c’era il sentimento di ingiustizia e non risarcimento da parte dell’Italia nei confronti suoi e della sua famiglia, che le generava un immaginario di angoscia e paranoia. Tali disturbi psicotici divennero sempre più insistenti, tanto che nel 1988 la spinsero in Unione Sovietica per chiedere asilo politico a Michail Gorbačëv.

In una condizione di solitudine e autoisolamento sempre più portata all’estremo, l’11 febbraio 1996 Amelia Rosselli si suicidò, gettandosi dalla finestra della sua abitazione in via del Corallo.

Un commento di Enzo Siciliano dà una chiave di lettura profonda di questo suicidio: «La sua stessa poesia forse l’ aveva fin troppo soggiogata e confinata anche da se stessa. Accade spesso che la poesia possa far torto alla persona del poeta: era questo il caso di Amelia».

Nello stesso giorno, trentatré anni prima, si era suicidata Sylvia Plath.

Sylvia Plath

C’è un doppio filo che lega queste due grandi poetesse del Novecento: Amelia Rosselli e Sylvia Plath. Innanzitutto, delle affinità stilistiche e tematiche della loro poesia. Non a caso, forse, Amelia Rosselli è stata la più grande traduttrice della poetessa anglo-americana: quattordici traduzioni che comparirono nel 1975 sulla rivista letteraria Nuovi Argomenti, salvo poi essere nuovamente perfezionate in vista di una pubblicazione con Mondadori. Si tratta effettivamente di
traduzioni impeccabili, le uniche capaci di riproporre in una lingua differente dall’originale quell’asprezza e quella visionarietà che caratterizzano le composizioni di Sylvia Plath. Che Amelia Rosselli intravedesse qualcosa di sé e delle proprie ragioni poetiche in quei versi è ormai indubbio.

Ma analizzando entrambe, emergono non solo affinità stilistiche, ma anche similitudini tra le due biografie, come i traumi psicologici, a partire dalla perdita del padre in tenera età che segnerà il loro genio poetico, e i riferimenti costanti alla propria vita. Entrambe attraversarono devastanti crisi depressive, agitazione, pensieri suicidi che portarono al ricovero in cliniche e a varie cure dell’epoca, quali elettroshock e shock insulinici.

Tali analogie sono palesi ne Le Muse inquietanti e altre poesie, un testo scritto nel 1985, in cui Amelia manifesta il proprio trasporto verso Sylvia, e da cui emerge ciò che la psicanalisi definirebbe un caso d’identificazione proiettiva. 

Le due donne, legate nella vita e nella poesia, ad questo filo, lo saranno anche nel loro suicidio. Sylvia Plath venne trovata morta l’11 febbraio 1963 con la testa infilata nel forno col gas aperto. Prima aveva sigillato con cura la camera dei bambini per evitare che il gas vi potesse penetrare, ed aveva preparato sui rispettivi comodini la loro colazione. Amelia Rosselli scelse di togliersi la vita esattamente trentatrè anni dopo Sylvia, l’11 febbraio 1996. Possiamo ridurre la coincidenza di queste due date a mera casualità, oppure una deliberata scelta di replica, di ennesima e definitiva identificazione.


I luoghi a Roma di Amelia Rosselli

Sono due i luoghi a Roma che ricordano la presenza di Amelia Rosselli. Il primo è una targa in Via del Corallo 25, nel rione Parione, presso l’abitazione, una minuscola mansarda al quinto piano affacciata sui tetti che incorniciano piazza Navona, in cui trascorse gli ultimi vent’anni della sua vita e in cui decise di porvi fine. La targa riporta alcuni versi della sua raccolta di poesie Improptu (1981).

 

Targa dedicata ad Amelia Rosselli in Via del Corallo

Il secondo luogo è il Cimitero Acattolico dove arrivò la sua salma il 16 febbraio 1996 con un corteo funebre che partì dalla Casa della cultura di Trastevere, e che ospita la sua tomba: una lapide scarna tra tanti sepolcri di poeti e scrittori illustri, a due passi da un altro poeta italiano morto poco più di un mese dopo di lei, Dario Bellezza.

Tomba di Amelia Rosselli nel Cimitero Acattolico di Roma

Se volete approfondire la figura di Amelia Rosselli, potete unirvi al nostro slowtour letterario Poetesse a Roma oppure al nostro slowtour letterario del Cimitero Acattolico.

Gabriella Massa

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