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STORIA

Il Rastrellamento del Quadraro

By 23/01/2024Febbraio 26th, 2024No Comments

Quando il Quadraro era temuto dai tedeschi come Nido di Vespe

Se entrate in quel piccolo mondo sospeso nel tempo che è il Quadraro Vecchio, sarete accolti da un lungo murale color giallo e nero, pieno di vespe che in testata reca la scritta: “You are now entering free Quadraro”. Il murale è una celebre opera di Lucamaleonte che si intitola “Nido di Vespe” e che si pone come manifesto della storia gloriosa di resistenza di quell’angolo remoto della Roma sotto l’occupazione tedesca.

Così gli occupanti tedeschi avevano ridenominato il Quadraro, “Nido di vespe”: una base di partenza per continue insistite operazioni di sabotaggio nei confronti di uomini e di rifornimenti nazisti e un nido dove sempre tornare a nascondersi, un luogo da cui si pungeva e si rientrava.

Nel suo libro di memorie, Eitel Moellhausen, console tedesco a Roma, scrisse parlando di Kappler: “Voleva farla finita una buona volta con quel nido di vespe”; e in un altro passaggio aggiunse: “a Roma, chi voleva nascondersi, doveva andare in Vaticano o al Quadraro”, i partigiani dove potevano sparire senza lasciare traccia.

Il Quadraro, infatti, fu una spina nel fianco per l’occupante tedesco. L’estrazione popolare dei suoi abitanti ne aveva fatto nel tempo un terreno fertile per l’opposizione antifascista. Inoltre, situato nel quadrante sud-est, con il fronte di combattimento fermo a sud della Capitale, era al centro delle più importanti vie di comunicazione e rifornimento dell’esercito tedesco: posto sulla strada consolare Via Tuscolana, in mezzo a tre importanti linee ferroviarie, tra i comandi militari degli aeroporti di Centocelle e di Ciampino, ed accanto a Cinecittà, altro quartier generale della Wermacht.
Il Quadraro, dunque, era in una zona calda in cui l’attività militare antitedesca era tra le più forti perché insisteva sulla possibilità di colpire i tedeschi nei suoi spostamenti. L’attacco più tipico era quello che prevedeva l’utilizzo dei chiodi a quattro punte, formati da due chiodi piegati e saldati insieme, che venivano disseminati sul monto stradale della Via Tuscolana per sabotare i veicoli tedeschi in transito.

Il quartiere pullulava di giovani in clandestinità e di bande di partigiani, che si resero protagonisti di ripetute azioni, una vera e propria guerriglia urbana: si colpiva e ci si nascondeva protetti da quella fitta trama di protezione della popolazione civile.


Storia del quartiere. Nascita e sviluppo del Quadraro Vecchio.

Il Quadraro appare oggi come parte di un agglomerato urbano, che si estende senza soluzione di continuità dal centro all’estrema periferia. Ma non è sempre stato così. Inizialmente era un gruppo di baracche e casette basse isolate, sorte spontaneamente agli inizi del Novecento all’estrema periferia sud-est della città, fuori Porta Furba in aperta campagna. Un quartiere povero e proletario, abitato da poche migliaia di persone – lavoratori, operai, artigiani – tutti di recente immigrazione dal Sud Italia.

Il Quadraro Vecchio conobbe un’importante crescita sotto il fascismo: considerato dal Governatorato di forte importanza per lo sviluppo della città verso i Castelli Romani, venne realizzata una Casa del Fascio in via degli Juvenci 6, un ufficio postale, un istituto per ciechi, uno dei primi centri antitubercolotici, l’Ospedale Ramazzini. Arrivarono anche due sale cinematografiche di seconda visione: il Cinema Folgore in via dei Quintili 34, oggi tramutata in Chiesa Coreana, e il Cinema Quadraro, in Via Tuscolana, abbattuto alla fine degli anni Sessanta, e che comparirà proprio nelle cronache del rastrellamento del 17 aprile 1944. Alla fine degli anni Trenta venne eretta poco distante Cinecittà, e le molte osterie e trattorie cominciarono a riempirsi di attori e maestranze della nuova città del cinema, come la Trattoria Primavera, in fondo alla salita sulla via Tuscolana, citata anche da Ascanio Celestini in “Storie di scemo di guerra”; Gigetto in via dei Quintili; la Roma-Napoli in fondo a via dei Lentuli.

Ma fu proprio in epoca fascista che il Quadraro divenne una sorta di territorio franco, rifugio di antifascisti, di cellule comuniste e anarchiche, staccato com’era dalla città storica e mal collegato con essa. Il Quadraro sembrava non far parte della città, tanto che quando i suoi residenti prendevano il tram per Termini o Piazza Vittorio, dicevano “Vado a Roma”. Queste caratteristiche urbane fecero si chè nel 1944 il Quadraro assunse agli occhi dei tedeschi un’aria decisamente minacciosa.


Storia del Rastrellamento

La Roma in cui avvenne il rastrellamento del Quadraro era una Roma schiacciata dalla crescente oppressione dell’occupante tedesco, che si inasprì dopo l’attacco di Via Rasella. Il 31 marzo 1944, ad esempio, fu presa una misura drastica per indebolire tutte le frange ribelli disseminate nelle periferie romane, ovvero venne anticipata l’ora del coprifuoco alle ore 16.00.

Kappler era rimasto colpito dalla fermezza dei romani e non poteva tollerare che, nonostante il terrore diffuso a piene mani, la popolazione continuasse a non collaborare, fino a mostrare aperta ostilità. I rastrellamenti giornalieri sembravano non demoralizzare i romani, e persino l’orrore della rappresaglia delle Fosse Ardeatine appariva senza risultati. Era quindi necessario un nuovo e pesante ammonimento. E questa volta fu il turno degli abitanti del Quadraro.

 

Quel Lunedì di Pasqua all’Osteria da Giggetto con il Gobbo del Quarticciolo

Molto probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso fu un clamoroso episodio avvenuto il 10 aprile 1944, un pomeriggio del Lunedì di Pasqua, che ebbe come protagonista Giuseppe Albano, detto il “Gobbo del Quarticciolo”.

L’episodio accadde all’Osteria Da Gigetto, in via Calpurnio Fiamma: erano tempi duri durante l’occupazione nazista però in molti non rinunciarono ad andare fuori porta per la scampagnata di Pasquetta. Quel pomeriggio si sedettero ai tavoli all’osteria tre ragazzi, tutti di età compresa tra i 17 e i 20 anni – Giovanni Ricci, Franco Basilotta ed appunto Giuseppe Albano, una figura piuttosto ambigua e complessa, a cui Carlo Lizzani si ispirò nel suo film Il gobbo (1960).

Stando alle ricostruzioni storiche della giornata, i tre sedevano in una sala molto frequentata in cui vi erano anche tre soldati tedeschi, una presenza questa dei soldati consueta vista l’occupazione di tipo militare della città. A quanto pare il Gobbo venne preso di mira con battute ed ammiccamenti dai soldati, forse per gioco o per scherno verso un ragazzo diverso per la sua deformità fisica; o forse credette di essere stato riconosciuto. Non si conoscono bene le motivazioni, ma ad un certo punto il Gobbo si alzò, sparò ed uccise i tre soldati tedeschi. Probabilmente fu questo episodio a fornire la motivazione per una rappresaglia, ad innescare il rastrellamento che colpì il Quadraro esattamente il lunedì successivo.

Unternehmen Walfisch, Operazione Balena

Operazione Balena, così venne denominata l’operazione disposta dal Capo di Stato Maggiore del Reich Kesselring, ed organizzata e diretta dal colonnello delle SS Kappler, che impiegò un alto numero di soldati per quello che fu, dopo il rastrellamento degli ebrei romani del 16 ottobre 1943, il più grande attacco tedesco contro la popolazione romana.

Il 17 aprile, verso alle ore 3.30 del mattino, reparti delle SS, della Wermacht e dei paracadutisti provenienti dal fronte di Nettuno, cominciarono a circondare il quartiere chiudendo ogni via di fuga. Alle ore 5.00 iniziò il rastrellamento vero e proprio. I soldati divisi in squadre, ognuna composta da cinque uomini, fecero irruzione in ogni casa del quartiere. Procedendo casa per casa, i tedeschi segnarono le porte delle abitazioni già ispezionate con croci di gesso bianco. Le persone rastrellate furono circa 2000, tutti uomini, e vennero portate al cinema Quadraro per essere identificati, schedati e sottoposti ad una scrematura: vennero trattenuti solo gli uomini abili per il lavoro, tra i diciannove e i cinquantacinque anni: verranno rimandati a casa i più giovani, i più anziani e i malati. Dopo ore di attesa, vennero caricati su dei camion e portati a Cinecittà, dove restarono qualche giorno.

Di tutti questi rastrellati, non c’era neanche un partigiano. Il motivo è semplice: erano tutti nascosti al Sanatorio Ramazzini, che era diventato con la connivenza di medici e personale sanitario rifugio di partigiani e deposito di armi.

Viaggio verso la Germania nazista

I rastrellati, in due gruppi tra il 19 e il 20 aprile, vennero caricati su dei camion e partirono per un lungo viaggio che transitò per Terni e per Firenze per giungere, verso i primi di maggio, nel campo di prigionia di Fossoli, principale punto di transito italiano per la deportazione in Germania da cui passeranno in migliaia in quei giorni bui: oppositori politici, prigionieri militari, ebrei destinati ai campi di sterminio. Ognuno immatricolato e provvisto di una divisa con un triangoletto di stoffa di un colore diverso a seconda della categoria di appartenenza: ai rastrellati del Quadraro venne assegnato il triangolo rosso, quello dei detenuti politici, a dimostrazione tali vengono considerati. A Fossoli restarono una cinquantina di giorni, in condizioni di vita molto duri, fatta di stenti e di malnutrizione, di violenze gratuite dei tedeschi, di lavoro forzato, di sporcizia, di paura per le bombe che cadevano copiose intorno. Vi restarono fino al 24 giugno. Nel frattempo Roma veniva liberata, il 4 giugno, suscitando nei prigionieri del Quadraro a Fossoli un’ondata di sconforto e rimpianto: erano stati catturati quando mancava meno di un mese e mezzo alla Liberazione.

Il 24 giugno, in realtà, vennero rilasciati , ma contestualmente alla firma dell’attestato di rilascio, vennero obbligati a firmare volontariamente la lettera di affidamento al servizio al lavoro coatto in Germania: la volontarietà qui fu ovviamente fittizia. Iniziò così un nuovo viaggio quel 24 giugno 1944 con destinazione finale Ratibor, oggi in Polonia, dove vennero venduti, come in un vero e proprio mercato degli schiavi, ai vari industriali in base alle proprie abilità professionali. Qui la strada dei rastrellati del Quadraro si divise: ognunò seguì un diverso destino, venne destinato al proprio nuovo “posto di lavoro”: chi in attività agricole, chi nelle fabbriche, chi – i più sfortunati – al freddo delle miniere o della fortificazione delle trincee. Bisognerà attendere l’8 maggio 1945, quando la Germania siglò la resa incondizionata: per oltre un milione di lavoratori forzati fu finalmente l’ora di tornare a casa. Anche in questo caso il viaggio di ritorno fu per ognuno dei prigionieri diverso: chi ci impiegò pochi mesi, chi un anno; chi a piedi, chi con passaggi di fortuna, chi in treno, ma questa volta – come ci testimonia Sisto Quaranta – con i portelloni aperti e con la motrice del treno rivolta verso sud. Ma nessuno sa dire precisamente quanti di loro non sono più tornati.


Motivi del Rastrellamento

La storiografia ha dibattuto sulle motivazioni che hanno portato ad un’azione punitiva così feroce, che segue di soli quindici giorni quella delle Fosse Ardeatine e che alla fine costerà la vita a circa cinquecento persone, quante furono quelle che non sarebbero più tornate.

Paolo Monelli, in “Roma 1943”, ipotizza che fu un’azione portata avanti per procacciarsi manodopera per i campi di lavoro in Germania. Ipotesi, questa, che contrasta con quello che afferma il già citato Moellhausen che precisa che il rastrellamento del Quadraro fu un’operazione diretta dal responsabile della sicurezza di Roma e non rientrò nel quadro previsto dalle Forze Armate germaniche per procurarsi manodopera, ma era un’azione politica: doveva porsi come ammonimento per la popolazione che continuava a proteggere i partigiani. Questo ci viene confermato dal comunicato che il Comando Militare Tedesco fece uscire il 18 aprile 1944 sul Giornale d’Italia.

«Avvertimento alla cittadinanza romana. La dura risposta germanica che, pur troppo, ha dovuto far seguito al delitto consumato in via Rasella, ha trovato evidentemente in alcuni ambienti poca comprensione. Nel lunedì di Pasqua, nuovamente, parecchi soldati germanici sono caduti alla periferia di Roma, vittime di assassini politici. Gli attentatori riuscivano a rifugiarsi, senza essere riconosciuti, nei loro nascondigli in un certo quartiere di Roma dove loro trovavano protezione verso i loro compagni comunisti. Il Comando superiore germanico è stato perciò costretto ad arrestare nel detto quartiere tutti i comunisti. La popolazione di Roma comprenderà queste misure. Essa potrà evitarle in avvenire partecipando attivamente alla lotta contro la delinquenza politica e informando il Comando superiore germanico… Chi si sottrae a questo obbligo si rende complice».

Questo comunicato rivelava nello stesso tempo l’impotenza e la rabbia degli occupanti, che si sentivano isolati, che portano all’apertura da Via Rasella di una nuova fase della strategia militare tedesca, quella della generalizzazione della rappresaglia contro la popolazione civile come strumento di dominio e controllo.

Ciò si spiega anche attraverso il carattere di resistenza diffusa del quartiere. “Tra i rastrellati del 17 aprile non ci sono i leader della resistenza romana, ci sono persone comuni, per lo più manovali, piccoli negozianti. Il comunicato del comando nazista – ‘sono stati arrestati tutti i comunisti e gli uomini che collaborano con i comunisti’ -, mentre venivano arrestati tutti i maschi del quartiere è una sintesi paradossale di ciò che accadeva da quelle parti”, conclude Walter De Cesaris nel suo saggio La borgata ribelle – il rastrellamento del Quadraro e la resistenza popolare a Roma, Odradek, Roma, 2004.

 

Q44, opera realizzata da Gary Baseman nel 2012 in omaggio alla memoria del Rastrellamento del Quadraro


Sisto Quaranta

Se noi conosciamo molti di questi dettagli è anche grazie all’impegno civile di un rastrellato del Quadraro, che è tornato e che si è battuto per far riemergere la memoria che giaceva da anni nel silenzio. Infatti, quando i rastrellati tornano cade il silenzio sul Quadraro e dobbiamo aspettare gli anni Novanta affinchè arrivino i primi studi e anche i primi riconoscimenti e monumenti.

E Sisto Quaranta sarà centrale. E lo sarà fino al 5 ottobre 2017, giorno in cui è morto all’età di 93 anni.

Sisto Quaranta aveva diciannove anni quando fu rastrellato e, dopo aver seguito la trafila che ho già raccontato, arrivò al campo 25 di Heydebrecken di Ratibor: essendo elettricista, venne trasferito in una fabbrica a Bad Lauterberg, dove rimase fino al 22 aprile, giorno in cui giunsero gli alleati.

Sisto Quaranta è diventato un po’ il genius loci del Quadraro ed ora ci sono anche una pietra d’inciampo e un murale a ricordarlo.Il murale si chiama SQ 947 (Sisto Quaranta), ed è stato realizzato David Diavù Vecchiato il 17 aprile 2018, per il progetto MURo. Il murale è stato voluto da Roma Capitale – Municipio VII e vi hanno collaborato i Cor Veleno con la strofa di un brano inedito e Walter Bear Teddy Galindo che ha dipinto il numero 947.

947, infatti, è il numero della matricola con cui nel campo di concentramento di Fossoli fu numerato Sisto Quaranta. Lui testimoniò che, quando il 4 maggio i rastrellati si misero in fila per l’immatricolazione, lui era l’ultimo della fila e gli venne affidato il numero 947. Da questa affermazione si è dedotto che i rastrellati del Quadraro siano stati 947.

In realtà, le recenti ricerche storiche, portate avanti dallo storico Pierluigi Amen, hanno messo in dubbio che siano 947, ma piuttosto 750. Questo perchè quel giorno arrivarono e furono immatricolati a Fossoli 200 deportati politici milanesi, che quindi si vanno a sommare all’immatricolazione generale.


Don Gioacchino Rey

Ed effettivamente il numero di 750 rastrellati combacia con l’unica altra lista che noi abbiamo a disposizione, quella stilata da Don Gioacchino Rey per la parrocchia di S. Maria del Buon Consiglio, che stabilisce una cifra compresa tra i 707 e i 734 individui.

Figura centrale al Quadraro in quei mesi terribili fu, infatti, Don Gioacchino Rey, parroco della chiesa di Santa Maria del Buonconsiglio, ricordato come il “Parroco delle trincee” tant’è che gli si conosce la Medaglia di Bronzo al Valore Militare per il ruolo avuto durante la Prima Guerra Mondiale a cui partecipò come cappellano militare, e poi Medaglia d’Oro al Merito Civile ricevuta nel 2017 per “dare atto dell’esemplare comportamento di Don Gioacchino Rey, uomo e sacerdote di elevate qualità morali e civili, che si prodigò, anche a rischio della propria vita, in favore delle vittime, e relative famiglie, del rastrellamento avvenuto il 17 aprile 1944 nel quartiere romano del Quadraro, quale esempio di elevato spirito di abnegazione e di solidarietà sociale”.

Egli, infatti, si battè sia durante il rastrellamento, sia nel successivo conforto e aiuto materiale verso le famiglie dei rastrellati, rimaste improvvisamente senza il sostegno economico derivante dal lavoro maschile, indipendentemente dal fatto che fossero suoi parrocchiani, cattolici o osservanti altre fedi, politiche o religiose.

Dal racconto dei testimoni del rastrellamento e delle due convulse giornate successive, emerge la figura di un sacerdote di grande spessore morale e volontà indomabile che, dopo essersi offerto ai tedeschi come ostaggio al posto dei suoi parrocchiani, fece la spola fra Cinecittà e le famiglie del Quadraro, favorendo dei contatti tramite la sua persona nel far giungere ai parenti informazioni e messaggi dei rastrellati, venendo per questo più volte malmenato dai tedeschi; inoltre, riuscì a far rilasciare il medico condotto e il farmacista, quali elementi indispensabili alla cura della salute degli abitanti della zona.

Grazie alla sua intuizione di prodigarsi per raccogliere i nominativi degli uomini che erano stati rastrellati, si è potuto successivamente e anche dopo il suo decesso, ricostruire la loro identità, in quanto gli elenchi redatti dai tedeschi sono andati distrutti o dispersi.

La lista di Don Gioacchino quindi, tramite le certificazioni individuali rilasciate dai parroci che a partire dal 1945 si sono succeduti alla guida della Chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio, ha permesso ai reduci della deportazione di ottenere, dopo il controllo effettuato dai Carabinieri della locale stazione Quadraro, le provvidenze e le facilitazioni dovute per legge, concesse nel tempo dallo Stato a favore dei deportati civili.

Don Gioacchino Rey, purtroppo, non potè vedere tornare i suoi parrocchiani: morì il 13 dicembre del 1944 in un incidente stradale a Roma.


Medaglia d’Oro al Merito Civile

La memoria del Quadraro è emersa, come già detto, in tempi relativamente recenti. Questo particolare ce lo raccontano anche le date delle targhe e dei monumenti commemorativi. Vi una lapide, che si trova nel Liceo Jean Piaget, che è del 2001, ed un’altra nel Parco 17 aprile 1944 che reca la stessa data. Mentre il monumento dedicato alle vittime del rastrellamento del Quadraro, sempre all’interno del Parco, è del 2004. Il 2004 è un anno cruciale perché è l’anno in cui il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi conferì al quartiere del Quadraro la Medaglia d’Oro al Merito Civile, unico quartiere di Roma all’epoca a ricevere questo riconoscimento. Questa la motivazione:

«Centro dei più attivi e organizzati dell’antifascismo, il quartiere Quadraro fu teatro del più feroce rastrellamento da parte delle truppe naziste. L’operazione, scattata all’alba del 17 aprile 1944 e diretta personalmente dal maggiore Kappler, si concluse con la deportazione in Germania di circa un migliaio di uomini, tra i 18 e i 60 anni, costretti a lavorare nelle fabbriche in condizioni disumane. Molti di essi vennero uccisi nei campi di sterminio, altri, fuggiti per unirsi alle formazioni partigiane, caddero in combattimento. Fulgida testimonianza di resistenza all’oppressore ed ammirevole esempio di coraggio, di solidarietà e di amor patrio.»


Armando Petrucci

Voglio concludere quest’articolo citando un terzo uomo, che ha speso gli ultimi anni della sua vita a portare alto il valore della memoria nelle scuole e nel quartiere, e che io ho avuto la fortuna di conoscere. Sto parlando di Armando Petrucci, che era figlio di Giggetto, dell’osteria di “Giggetto”, allora chiamata “Campestre”, a Cecafumo, proprio quell’osteria che fu teatro dell’uccisione dei tre soldati tedeschi da parte del Gobbo del Quarticciolo. Armando Petrucci, che all’epoca era un ragazzo, stava in cucina e sentì gli spari.

Il signore Armando, di cui porterò nel cuore un ricordo di un uomo gentile, ha partecipato due volte al nostro slowtour del Quadraro condividendo i suoi ricordi di quel momento terribile.


Se volete approfondire la storia del Quadraro e del suo feroce rastrellamento potete ascoltare il mio slowtalk (era uno dei primi durante il Covid, quando ancora non esisteva Zoom) dedicato a questo link: Slowtalk sul Rastrellamento del Quadraro

oppure potete unirvi al nostro slowtour del Quadraro Vecchio.

 

Bibliografia

De Cesaris Walter, La borgata ribelle – il rastrellamento del Quadraro e la resistenza popolare a Roma, Odradek, Roma, 2004;

Guidi Carla, Operazione Balena Unternehmen Walfisch, Edilazio, Roma, 2013;

Sirleto Francesco, Quadraro: una storia esemplare. Le vite e le lotte dei lavoratori edili di un quartiere periferico romano, Ediesse, 2006;

Moellhausen E. F., La carta perdente: memorie diplomatiche 25 luglio 1943 – 2 maggio 1945, Sestante, Roma, 1948;

Monelli Paolo, Roma 1943, Einaudi, 1993;

De Simone Cesare, Roma città prigioniera – i 271 giorni dell’occupazione nazista (8 settembre ‘43 – 4 giugno ’44), Mursia, Milano, 1994;

Portelli Alessandro, L’ordine è già stato eseguito, Donzelli Editore, Roma, 1999;

Robert Katz, Roma città aperta. Settembre 1943 – Giugno 1944, Il Saggiatore, Milano, 2003;

Ascanio Celestini. Storie di uno scemo di guerra, Einaudi, Torino, 2005

A. Majanlahti, A. Osti Guerrazzi, Roma occupata 1943-1944. Itinerari, storie, immagini, Il Saggiatore, Milano, 2010;

Pierluigi Amen, Rastrellamento del Quadraro, Liberi, luglio-agosto 2015.

Gabriella Massa

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