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“Per tutta la sua lunghezza, per un chilometro e più da una parte e dall’altra la via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la vista, la solitudine, il silenzio, per la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti….Andava salvata religiosamente perchè da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l’avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un’opera d’arte di un’opera d’arte: la Via Appia era intoccabile, come l’Acropoli di Atene” 

 

Così scriveva nel 1953, nel suo articolo “I Gangsters dell’Appia” su Il Mondo, Antonio Cederna, il primo ad essersi opposto alla cementificazione selvaggia dell’Appia Antica. Una battaglia che condusse per tutta la sua vita. Ma a distanza di più di vent’anni dalla sua scomparsa, la battaglia ancora non è stata vinta e la questione appare irrisolta.

 

Ma cos’è l’Appia Antica e perchè va salvata?

L’Appia Antica è sicuramente la consolare romana che meglio si è conservata fino ai giorni nostri. Ed è stata da sempre la più importante di tutte le strade costruite da Roma.
Le strade furono una delle grandi opere ingegneristiche per cui furono grandi i Romani, e funsero da strumento fondamentale per la diffusione della loro cultura, per il rafforzamento della dominazione imposta alle popolazioni conquistate, come mezzi di comunicazione tra il centro di un impero immenso e le periferie più lontane. Potremmo dire che le strade rappresentano uno dei simboli più potenti e duraturi della civiltà romana.

Progettata nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco, l’Appia forniva un collegamento diretto fra Roma e Capua al fine di permettere il movimento rapido delle truppe romane verso il sud in occasione della seconda guerra sannitica. Venne concepito per questo motivo come un rettifilo lineare che non toccava le città – un po’ come sono strutturate le moderne autostrade – che superava gli ostacoli paesaggistici che rendevano il sistema viario precedente tortuoso e accidentato. Per ottenere ciò fu necessario un sforzo economico senza pari e un progetto ingegneristico rivoluzionario.
Da Capua in poi la strada non andava più dritta ma seguiva da vicino gli itinerari delle campagne militari e le varie conquiste: nel 268 a.C. superando le Forche Caudine fu prolungata fino a Benevento, mentre nell’età dei Gracchi prima del 191 a.C. fu ultimato il tratto fino al porto di Brindisi, che fornì a Roma un collegamento diretto con la Grecia, l’Oriente e l’Egitto, fondamentale per le spedizioni militari, i viaggi e i commerci. Tale intervento elevò l’Appia a strada più importante del mondo romano, la Regina Viarum, come la definì il poeta Stazio nel I secolo d.C.
La Via Appia aveva inizio a Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo, da cui iniziava il conto delle miglia scandito dalle pietre miliari. Il percorso era interrotto solo nei pressi di Terracina, dove era necessario attraversare un canale navigabile che fiancheggiava la via: chiamato decennovium perché era lungo 19 miglia, vi si procedeva tramite chiatte trainate da animali da tiro. Ne offre una testimonianza illustre il poeta Orazio, che in una delle sue satire descrive il viaggio da lui intrapreso per Brindisi sulla Via Appia, l’Iter Brundusinum.

L’Appia non aveva solo un’importanza economica e commerciale senza pari; era una delle zone più in voga al tempo per le grandi ville e residenze di campagna, dove i patrizi romani coltivavano l’otium et negotium a due passi dalla capitale. La grande abbondanza d’acqua, testimoniata tutt’oggi dalle lunghe arcate degli acquedotti, e le valli rese fertili dai depositi vulcanici, rendevano la zona luogo ideale per sfruttamenti agricoli.

Ma l’Appia aveva anche un significato religioso straordinario. Era la strada cimiteriale per eccellenza, con una fila ininterrotta e serrata di sepolcri che creavano una vera e propria quinta scenografica marmorea. Anche le tombe meglio conservate possono dare solo un’idea approssimativa dell’aspetto che avevano in epoca romana: oggi ne rimangono poco più che scheletri di calcestruzzo o di mattoni, ma anticamente esse erano ornate di marmi pregiati, lapidi, statue, dipinti e bassorilievi. E lungo l’Appia possiamo scorgere una vera carrellata dei diversi tipi di sepoltura, che mutavano a seconda dei periodi storici in cui l’Appia venne utilizzata: sepolcri ad inumazione, colombari, catacombe. Queste ultime tra le più importanti catacombe che Roma può vantare: S. Callisto, S. Sebastiano e Domitilla.

 

Il sogno di un parco archeologico

Fu Napoleone il primo ad ipotizzare un progetto di grande parco archeologico che avrebbe dovuto estendersi dalla Colonna Traiana fino ai Castelli Romani. Al tempo l’Appia si presentava ancora come una strada di campagna, la cui unica particolarità era la fila di sepolcri in rovina che la costeggiavano. Ma sarà solo Pio IX, tra il 1851 e il 1855, a lanciare un vasto piano di recupero dell’Appia Antica, nel tratto tra Cecilia Metella e Frattocchie, supervisionato dall’architetto ed archeologo piemontese Luigi Canina. Scopo del progetto era una sorta di “musealizzazione all’area aperta” sistemando il primo tratto della Via Appia in modo tale che i visitatori potessero passeggiare lungo la strada ammirando i monumenti ai suoi lati, un po’ come si fa camminando per i corridoi dei musei.

E l’Appia oggi ci appare ancora come l’aveva sistemata il Canina. Ma sventrata da fenomeni di abusivismo edilizio e atti di vandalismo selvaggio, nonostante le tante battaglie che sono state combattute per la sua tutela.

Il Parco Archeologico dell’Appia Antica fu individuato per la prima volta dal Piano Regolatore Generale del 1931 dove, sebbene non ne venisse emessa una normativa d’uso vincolante, fu stabilita una zona di rispetto di centocinquanta metri dalla strada dove era vietato costruire e furono indicati limiti e accorgimenti da usare per i nuovi edifici. A mancare però era una concezione della tutela che fosse indirizzata alla conservazione tanto del contesto quanto dell’ambiente monumentale. E infatti non passò troppo tempo che simili prescrizioni, troppo permissive, fossero superate. La tendenza degli amministratori comunali a sostenere gli interessi di privati fece il resto. Il paesaggio, fino ad allora intatto, fu così manomesso con la costruzione di strade e case tra le rovine antiche, in alcuni casi gli architetti si divertivano a trasformare gli stessi monumenti in edifici. L’Appia era stata irrimediabilmente ferita.

Il mondo intellettuale insorse. Primo tra tutti Antonio Cederna, archeologo, giornalista, urbanista, attivista di associazioni, parlamentare e amministratore pubblico. Dedicò la propria vita all’impegno per la difesa del patrimonio storico-artistico e paesaggistico del nostro paese, ma la sua battaglia più grande la combattè per la salvaguardia della Via Appia, a cui dedicò oltre 140 articoli contro abusi edilizi ed incuria. Cederna intervenne ad evidenziare l’ipocrisia e l’inefficacia del Decreto Ministeriale del 14 dicembre 1953, che dichiarava di pubblico interesse il patrimonio paesistico-archeologico della zona compresa tra Porta San Sebastiano e il territorio di Boville, definendolo “efficace e opportuno come un cerotto applicato sopra una gamba stritolata da un treno”. Appariva sin da subito, infatti, l’assoluta mancanza di capacità e volontà di far rispettare i contenuti del decreto, dato che gli stessi dipendenti ministeriali concedevano nullaosta a costruire, purché le case fossero realizzate con gli accorgimenti previsti. Altro controsenso per lui fu l’approvazione, nello stesso periodo, del Piano Particolareggiato che autorizzava la costruzione di edifici e strade che tranciavano l’Appia.
Negli stessi anni, inoltre, veniva realizzata l’autostrada del Grande Raccordo Anulare che tagliava l’Appia all’altezza del VII miglio, distruggendo un centinaio di metri del basolato antico e alcune strutture di una villa romana con cisterna.

 

Un Parco naturale ma non archeologico
Nel 1988 la Regione Lazio istituì il Parco Regionale dell’Appia Antica, di cui però le aree di proprietà pubblica sono tuttora una percentuale inconsistente in relazione agli oltre 2500 ettari di proprietà privata: circa 50 ettari sono in consegna allo Stato – con la strada, la Villa dei Quintili, la Villa dei Sette Bassi e altri complessi più piccoli – e 140 ettari circa al Comune di Roma, tra Caffarella, complesso di Massenzio al III miglio e pochissimo altro.

Sul sito ufficiale del Parco si legge che le sue finalità sono “la conservazione e la valorizzazione del territorio in esso compreso, per permettere ai cittadini il godimento di straordinarie bellezze paesaggistiche, naturalistiche e storico artistiche”. Il problema è che si tratta di un parco naturalistico, e non di un parco archeologico. Quindi inadeguato alla difesa, alla valorizzazione e all’accrescimento di un patrimonio archeologico e monumentale importantissimo. Tutto ciò aggravato dal fatto che oggi l’area è fatta di tante realtà disgregate: c’è l’Ente Parco che non ha titolo per occuparsi del patrimonio archeologico e paesaggistico, ci sono lo Stato ed il Comune deputati alla tutela del patrimonio culturale e c’è Roma Capitale con competenze su mobilità e urbanistica.

 

 

L’Appia Antica oggi

Non si può dire che nulla è stato fatto dagli scempi e dall’abusivismo dei decenni trascorsi.

Nonostante le grandi difficoltà e contraddizioni la Soprintendenza negli ultimi anni è riuscita a compiere alcuni interventi di recupero, di scavo e di restauro che hanno reso fruibili al pubblico nuove parti di questo immenso patrimonio. E’ il caso del Mausoleo di Cecilia Metella acquistato nel 2002 da privati e trasformato in centro di ricerca, del restauro della Villa dei Quintili divenuta importante attrattiva turistica, il sito di Capo di Bove, acquisito nel 2002, e quello di Santa Maria Nova, acquisito nel 2006. Nell’ambito degli interventi per il Grande Giubileo del 2000, inoltre, è stata effettuata la ricucitura dell’Appia Antica nel punto in cui l’attraversamento dell’anello stradale del G.R.A. aveva diviso in due la strada.

Tuttavia, permangono tante, troppe criticità. L’area appare devastata dal fenomeno dell’abusivismo edilizio: con l’istituzione del parco, infatti, le prescrizioni di inedificabilità rimasero invariate, ma il risultato è stato che si sono moltiplicate le costruzioni abusive,  legittimate dalle innumerevoli leggi sui condoni edilizi con procedure che hanno escluso, nella quasi totalità dei casi, i pareri delle Soprintendenze di Stato. Bisognerebbe, dunque, risolvere il problema degli abusi edilizi, correggendo i numerosi errori commessi.

Bisognerebbe, inoltre, salvare questo museo a cielo aperto e il basolato romano dalle automobili. Nulla è stato fatto per limitare il traffico veicolare che affligge il primo tratto della via, fino a S Sebastiano, o per migliorare il servizio pubblico in alcuni casi inesistente. E’ necessario ridurre il traffico, se non pedonalizzare il primo tratto della strada e attivare un efficiente servizio pubblico di mobilità, utilizzando anche mezzi elettrici e accessi trasversali che valorizzino le aree laterali.

Bisognerebbe, infine, migliorare la fruizione del patrimonio recuperato e incrementare il patrimonio pubblico: servono circa 30 milioni per “eliminare le situazioni più vergognose”. Si tratta di monumenti oggi privatizzati o di proprietà statale ma in terreni privati e quindi inaccessibili. In molti casi i monumenti sono abbandonati a se stessi dai proprietari. Tra i casi più eclatanti abbiamo Casal Rotondo, un antico mausoleo trasformato in edificio privato e adibito a feste; il complesso di S. Urbano ed i colombari di Vigna Codini, statali ma inseriti in proprietà privata. Ma la lista dei recuperi è lunga.

Il sogno è quello di vedere finalmente l’Appia assumere il valore di un monumento antico con il ruolo di “museo all’aperto” conferito dai restauri eseguiti nella metà dell’800 con il fine di preservare e illustrare le testimonianze archeologiche nel tempo, rendendole accessibili a tutti.

Per questo abbiamo organizzato, per il secondo anno consecutivo, l’Appia Day. Per chiedere a gran voce la tutela che finalmente merita questo luogo unico al mondo, per chiedere una pedonalizzazione che ponga fine agli scempi che violentano questa strada ogni giorno, per chiedere un progetto di ampia portata e condivisione, al fine di istituire un’area archeologica che parta dal cuore di Roma, dalla Colonna Traiana, e arrivi fino ai Castelli Romani, esattamente come doveva essere in origine.

 

Per vedere tutti gli eventi in programma per l’Appia Day, visita il sito ufficiale: http://www.appiaday.it/

Gabriella Massa

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